sabato 14 febbraio 2009

L’Emporio di Gina

“Nell’Emporio Gina”, sito in Caltanissetta via Napoleone Colajanni n.135, trovi di tutto dal profumo, borse, penne, matite, quaderni, indumenti, bigiotteria, valige, argenteria, occhiali, corredi e chi più ne ha ne metta, in un angolo, in alto, è allestito l’ANGOLO DELL’ARTE dove sono visibili una gran foto di Giusepe Giampapa, dalle belle fattezze, padre di Gina e Enza – gestori - e tre magnifici quadri del Maestro Pennino Salvatore dai titoli:
“Attesa Spaziale”, “Illiria” e “Passato e futuro”.
Pennino è un artista completo, schivo ad ogni tipo di retorica, che nel silenzio del suo studio, sito in località Fontan Bianca di Canicatti, dipinge meravigliosi quadri dove le prospettive dell’ambiente figurato danno la sensazione di spazi sconfinati che lasciano senza fiato.
I colori delle sue tele, tendenti ad un tenue azzurro, che rendono le immagini realizzate celestiali, descrivono in modo impareggiabile le bellezze di albe e tramonti da sogno. Che dire poi dei suoi centri cittadini… bellissimi! Catania, un soggetto a lui caro, è raffigurata con dovizia di particolari con un leggero tocco guttusiano come ” Corso Italia” , “ Pescheria “, “ Piazza Duomo “ e tanti tanti altri soggetti.

Nell’ANGOLO DELL’ARTE inoltre è esposta una scultura di Nino Lacagnina dal titolo “La leggenda di Manaus”.
Poeta, prima che scultore, Nino Lacagnina ci appare una figura fortemente sensibile ed è da questa sua sensibilità che nasce la sua poesia che diventa motivo d’ispirazione per le sue sculture.
Opere, quindi, fecondate da sapienza lirica istintiva che rende visibile la potenzialità spirituale del suo mondo interiore.
Un approdo alla scultura come esigenza di dare immagine al “verbum”, di comunicare attraverso l’abilità gestuale i sogni, le visioni, l’amore, le leggende legate al mondo mitologico.
L’amore per la poesia e la ricerca della materia danno vita a composizioni che nella loro plasticità rivelano il legame inscindibile persistente tra loro.
Un iter evolutivo, ricco di valori morali e di ricerca culturale che ne testimonia il valido talento artistico di Nino Lacagnina, artista da annoverare tra i grandi del panorama artistico contemporaneo. ( da una critica Anna Francesca Biondolillo - Direttrice della Galleria “Il tempio” di Palermo - Critico letterario e d’arte).


La leggenda di Manaus

Nel cuore dello stato di Manaus in Brasile, tra la confluenza del Rio Negro e il Rio delle Amazzoni, in una piccola radura delimitata dal fitto della foresta pluviale, vive una pacifica comunità indio.
La foresta, che sembra proteggere bonariamente i nativi dal mondo esterno, è costituita da rigogliose mangrovie, grandi pampini verde pallido, splendide felci ed enormi imbauba dai tronchi grigio-biancastri che svettano per decine di metri in alto ed esplodono alla sommità in fronde che avvolgono tutto in una luce soffusa di verde.
Nel villaggio sono presenti pochi uomini anziani mentre i giovani sono a caccia e a pesca.
Le donne accudiscono alla prole e svolgono le faccende domestiche. I bimbi giocano felici con i loro lentissimi lemuri e piccole testuggini.
In disparte, un vecchio rugoso sta seduto sul bordo di una canoa tratta a secco; a lui, chi vuole, può chiedere del Dio delfino. Il vecchio, interpellato, narra gravemente:
nelle notti di plenilunio, quando tutto è silenzio, dalle acque emerge un gran delfino che, al chiarore della luna, si trasforma in un vigoroso giovane uomo.
Presto raggiunge la riva e con passo deciso, si reca al villaggio dove, in una capanna, la più bella fanciulla attende senza timore. Lei sa che la nudità la rende preziosa; i suoi piccoli seni turgidi sono doni, i fianchi flessuosi brune liane, le rosse labbra boccioli odorosi, i capelli orchidee nere.
Testimone la luna, i giovani si amano.
Dopo mesi i saggi si riuniscono e proclamano che presto la tribù avrà in dono dal Dio un figlio.
Il volto del narratore, solcato dal tempo, è impenetrabile. Egli è certo che l’evento appena raccontato si è effettivamente verificato e che si continuerà a verificare sino a quando la tribù crederà.
Ninoelle anno1997


Chieste delucidazioni in merito alla piccola esposizione, le sorelle Giampapa hanno detto:
con questa piccola esposizione permanente noi non vogliamo dire nulla di sconvolgente o di trascendentale ma, semplicemente, che l’abbiamo allestita per godere della vista del bello unitamente ai nostri clienti che numerosi vengono a trovarci non esclusivamente per i consueti acquisti ma anche per l’amicizia che da anni ci lega e dove, anche, con grande cortesia, volentieri offriamo loro una tazzina di caffè.
Insomma, il nostro Emporio è un ritrovo di chi ama il bello e l’arte.

Ninoelle 13 Febbraio 2009

giovedì 5 febbraio 2009

Vecchi tempi

Ho conosciuto di recente Michele Curcuruto, un neosettantenne che ne dimostra cinquanta nel fisico e trenta nella mente.
E' simpatico e allegro sebbene colpito pesantemente negli affetti più cari per la dolorosa perdita della sua dolce compagna.
Lui, in genere, ama parlare di cose concrete, realmente avvenute, e, in particolare, della vita nelle miniere di zolfo del bacino del nisseno che si svilupparono, fiorirono e decaddero verso il 1964. Uno spaccato di tale vita è stato da lui descritto magistralmente con il suo libro di successo dal titolo "I Signori dello Zolfo".
Io quando lo vedo arrivare sono subito avvolto dalla memoria del passato, rivedo l'Istituto Tecnico Minerario Sebastiano Mottura di Caltanissetta e rammento i discorsi dei miei compagni che asserivano che appena diplomati saremmo tutti diventati direttori di miniera.
Sebbene già nel 1960 la crisi nel settore cominciasse a farsi sentire per la concorrenza spietata delle industrie degli Stati Uniti d'America, che producevano lo zolfo con il metodo Frasch, permesso loro dalla specifica configurazione dei giacimenti di zolfo, che giaceva nel sottosuolo in formazione di grosse lenti, io, dopo pochi mesi dal conseguimento del diploma, e dopo una breve parentisi di lavoro presso le cave di pomice comunali di Lipari, andai a lavorare nella miniera Baccarato posta tra i comini di Piazza Armerina e Aidone.
Non ebbi il tempo di sperare ed eventualmente accedere alla direzione di tale miniera perchè, dopo appena diciassette mesi, vincitore di concorso, presi servizio all'Ispettorato del Lavoro di Caltanissetta.
Tra le carte di Michele un giorno ho trovato due fotografie che riproducono la mia classe relativamente agli anni scolastici 1955-1956 e 1958-1959. Quel tipo di foto era sempre lo stesso: scattate alla fine dell'anno scolastico con la classe schierata sul tetto dell'Istituto in compagnia di qualche nostro professore che in quel momento era in classe.
Esaminate le foto, non senza provare una forte emozione, riconosco, oltre tutti i miei compagni, padre Campione - professore di religione, l'amato e rimpianto Arcangelo Russo - professore d'italiano, il professore Galletti che insegnava "preparazione meccanica dei minerali", Mammano, inflessibile e severo professore di topografia, il temibile professore Cannizzaro che aveva sostituito l'indimenticabile professore Arcangelo Russo nell'insegnamento della lingua italiana.
Che tempi, noi giovani studenti che per cinque giorni la settimana, dal Lunedì al Venerdì. restavamo tra i banchi per otto ore, il Sabato solo per cinque, nel tempo libero della giornatache restava c'impegnavamo per altre tre o quattro ore a studiare e svolgere i compiti assegnatici con gran lena e volontà perchè abbagliati dal miraggio sempre presente nella mente che il diploma ci avrebbe senz'altro permesso d'immetterci nel mondo del lavoro subito.
Nel libro "I Signori dello Zolfo", scritto con gran maestria e competenza da Michele, è riportata una vicenda che riguarda da vicino "noi" alunni dell'Istituto Mottura: tra gli studenti, quasi tutti non proprio appartenenti a famiglie facoltose, anzi, si svolgevano delle lotterie che premiavano i vincitori con una "doppia" il primo estratto e una "semplice" il secondo da consumare presso la benemerita Lidia tenutaria della casa chiusa di via Tommaso Tmburini.
Io non ricordo questo tipo d'evento forse perchè negli anni 1955-1956-1957 la lotteria era riservata ai compagni di scuola già diciottenni e poi, nel 1958,quando la mia generazione compiva la maggiore età, l'amata Lidia era stata mandata in pensione dalla legge Merlin.
Ma noi, minori dei diciotto anni, avevamo escogitato un altro sistema per entrare nel regno di Lidia: avevamo, non ricordo come, procurato una tessera di riconoscimento di un certo Vasapolli Ignazio, nato nel 1936, mai conosciuto, in cui la fotografia del titolare era, per una piccola parte di essa, ricoperta da un francobollo su cui era apposto il timbro del Comune; bastava sfilare la foto di Vasapolli ed inserire quella di chi desiderava ardentemente in quel momento varcare la soglia proibita.
Con quella carta d'identità, impavidi e fieri, andavamo a trovare la dolce Lidia che, per distrazione o per una sorta di benevola comprensione materna, ci permetteva di accedere alla terra promessa.
Mai nessuno contestò quanti Vasapolli giornalmente o anche più volte al giorno visitavano quella casa.
Dopo la visita a Lidia, il compagno di turno raggiungeva gli altri da "Baffazzi" e raccontava con esplicite parole la bontà della quindicina di turno ed anche le "meraviglie vissute".
"Baffazzi" era il gestore della sala di biliardo posta di fronte al portone dell'Istituto e la sala era il nostro ritrovo, il nostro Club.
Non sempre però, il racconto dei colleghi neofiti era allegro e spontaneo; a volte, eccezionalmente, qualcuno era un po' mesto, impacciato ed allora, i più anziani dei minorenni lo "scrufuniavano" sollecitando il resoconto dell'evento. Al balbettio del malcapitato, tutti ci stringevamo attorno a lui con faccia mesta, salvo a scompisciarci dal riso convulso e trattenuto sulle spalle di chi ci precedeva nell'abbraccio affettuoso.
Era accaduto, l'emozione e l'attesa della prima volta lo avevano tradito e, all'ultimo momento gli avevano causato un maledettissimo "catanazzo" che gli aveva impedito di godere del frutto proibito ma no di perdere il denaro che aveva pagato per l'acquisto della necessaria "marchetta". Il classico "curnutu e vastuniato".
In queste circostanze, rare, tutti ci comportavamo da fratelli maggiori giurando che anche noi avevamo fatto quell'esperienza e che bastava non pensarci più e riprovare una seconda volta con determinazione. L'evento successivo sarebbe senz'altro splendidamente riuscito: Così avveniva!

Nino Lacagnina 31-Gennaio-2009